Eurovision 2025: la partecipazione di Israele divide il pubblico europeo

Bruxelles – La finale dell’Eurovision song contest 2025, in programma sabato (17 maggio) a Basilea, in Svizzera, si avvicina in un clima di crescente tensione. Al centro delle polemiche vi è la partecipazione di Israele, rappresentata quest’anno dalla cantante Yuval Raphael, sopravvissuta all’attacco di Hamas al festival musicale Nova nel sud del Paese, nell’ottobre 2023. La sua esibizione, un brano trilingue dal titolo “New Day Will Rise”, è diventata per alcuni simbolo di resistenza, per altri un elemento di controversia in un contesto già fortemente polarizzato.
L’ammissione di Israele all’Eurovision non è una novità, né una forzatura: il Paese è membro dell’Unione europea di radiodiffusione (Ebu), che consente la partecipazione anche di emittenti di Stati extraeuropei purché rientranti nell’area di trasmissione definita dall’Ebu stessa. Israele partecipa dal 1973 e ha vinto quattro edizioni, l’ultima delle quali nel 2018. Tuttavia il contesto attuale è profondamente mutato. Negli ultimi mesi, la prosecuzione dell’operazione militare israeliana su Gaza ha alimentato forti proteste civiche in tutta Europa. Alcune delegazioni hanno segnalato malumori interni, mentre sui social media si moltiplicano campagne per il boicottaggio della finale. Durante l’esibizione di Raphael, che aveva già ricevuto minacce di morte in vista della sua partecipazione all’evento, sono emerse tensioni visibili, tra cui fischi e simboli pro-palestinesi tra il pubblico.
Per l’Ebu, la questione va oltre il merito politico. Fondata nel 1950 con una duplice missione, tecnica e valoriale, l’organizzazione promuove da sempre un’idea di broadcasting pubblico libero e indipendente. Israele è diventato un caso emblematico dopo la soppressione, nel 2017, dell’Israel broadcasting authority, ritenuta eccessivamente critica dal governo di Benjamin Netanyahu, e la sua sostituzione con l’attuale emittente Kan. Sebbene meno conflittuale, Kan continua a essere oggetto di pressioni politiche, e nel 2023 l’allora ministro delle comunicazioni israeliano aveva proposto la sua privatizzazione, una mossa che, se attuata, potrebbe porre il Paese in violazione dei criteri Ebu. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, l’Ebu escluse la Russia solo in seguito alle minacce di ritiro di alcuni Stati membri. Nel caso di Israele, non si è ancora registrata una pressione analoga, tuttavia l’insoddisfazione è palpabile. La politicizzazione del concorso, d’altronde, è un fenomeno ormai consolidato: negli anni, le vittorie di Dana International o Conchita Wurst avevano rafforzato l’immagine del contest come promotore di inclusione e diritti civili. Oggi, quella narrazione si confronta con una realtà più complessa e divisiva.
Escludere Israele dalla competizione musicale richiederebbe una revisione sostanziale dei criteri di ammissibilità e comporterebbe potenziali conseguenze legali e diplomatiche. Tuttavia, l’equilibrio è sempre più precario. Secondo un’importante fetta dei telespettatori e della critica televisiva, l’Ebu dovrebbe chiarire se l’obiettivo primario resti la tutela della libertà editoriale, anche a scapito della neutralità percepita del concorso, o se sarà necessario ridefinire la propria missione alla luce delle nuove sensibilità geopolitiche.
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