Bruxelles, la revisione del concetto di Paesi terzi sicuri è un’altra picconata al sistema d’asilo Ue

Bruxelles – La Commissione europea prosegue nel progressivo smantellamento del sistema d’asilo così come l’abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni. Dopo il supporto al ‘modello Albania‘ di esternalizzazione delle richieste di protezione internazionale e il sì ai centri per i rimpatri al di fuori dei confini Ue, oggi (20 maggio) Bruxelles ha aggiunto un altro tassello, aprendo alle deportazioni di richiedenti asilo in Paesi terzi con cui non hanno alcun legame. E limitando contemporaneamente gli effetti sospensivi dei ricorsi contro i trasferimenti.
La revisione del concetto di Paese terzo sicuro era prevista dal Patto sulla migrazione e l’asilo, entro il giugno 2025. Ma più che una revisione, la Commissione europea ne propone uno stravolgimento per facilitarne l’applicazione per gli Stati membri nell’accelerare – e respingere – le domande d’asilo. In sostanza, l’esecutivo Ue suggerisce di eliminare l’obbligo per le autorità nazionali competenti in materia di asilo di dimostrare l’esistenza di un legame tra il richiedente e il Paese terzo sicuro in cui lo si vuole trasferire. Secondo la nuova impostazione di Bruxelles, il transito attraverso un Paese terzo sicuro durante il viaggio per raggiungere l’Ue sarebbe un collegamento sufficiente per poter negargli la protezione.
Ed anche se il malcapitato avesse attraversato solo Paesi non sicuri, potrebbe essere deportato – salvo che sia un minorenne non accompagnato – in qualsiasi altro Paese extra-Ue con cui sia stato siglato un accordo o un’intesa, a patto che tale Paese terzo rispetti una serie di condizioni che lo qualifichino come sicuro. Anche se la Commissione europea indica come esempio l’accordo per cui la Turchia ospita sul proprio territorio 3 milioni e mezzo di cittadini siriani, siamo di fronte al ‘modello Ruanda’, l’accordo con cui il Regno Unito vuole deportare richiedenti asilo di qualsiasi cittadinanza a 6.400 km da Londra e a chi sa quanti dal proprio Paese d’origine, bistrattato dalle stesse istituzioni europee per le evidenti violazioni dei diritti delle persone migranti. “Il Patto sulla migrazione non aprirà la porta al modello Ruanda di tipo britannico in Europa”, aveva dichiarato l’ex commissaria Ue per gli Affari interni, Ylva Johansson, poco più di un anno fa.
E invece, l’avvicendamento con l’austriaco Magnus Brunner, e un nuovo baricentro politico a Bruxelles spostato decisamente a destra, l’hanno sconfessata. “Il concetto riveduto di Paese terzo sicuro è un altro strumento che aiuta gli Stati membri a trattare le domande di asilo in modo più efficiente, nel pieno rispetto dei valori e dei diritti fondamentali dell’Ue”, ha affermato Brunner. In una nota, perché il commissario non ha presentato – com’è prassi – di persona i dettagli della proposta. L’onere è toccato al suo portavoce, Markus Lammert, che ha ribadito che “la proposta è accompagnata da solide garanzie” e altro non è che “una modifica mirata di una disposizione già esistente nel diritto dell’Unione“.
La chiave che ha permesso all’Ue di procedere alla recisione del criterio del legame nell’applicazione del concetto di Paese terzo sicuro è che tale criterio non è previsto dal diritto internazionale. Non è dunque obbligatorio, secondo la legge internazionale, stabilire un legame tra il richiedente asilo e il Paese terzo sicuro in cui lo si vuole trasferire. Fino ad oggi lo era per l’Ue: il regolamento Apr (Asylum procedure regulation), parte del Patto per la migrazione e l’asilo, consente i trasferimenti “solo se esiste un legame tra il richiedente e il paese terzo in questione sulla base del quale sarebbe ragionevole che egli si rechi in tale Paese”. In particolare, se ha soggiornato per lungo periodo in precedenza o se vi risiedono familiari.
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha sottolineato l’importanza di un “legame significativo”, da verificare attraverso fattori quali la durata e la natura di eventuali soggiorni precedenti, nonché i legami familiari o altri legami stretti. Sul tema si è espressa anche la Corte di giustizia dell’Ue, in una sentenza del 2018, stabilendo che un transito di breve durata in un Paese terzo sicuro non è sufficiente per soddisfare il requisito del legame con esso.
Ma la Commissione europea vuole fare tabula rasa, così da ampliare il numero di richiedenti ai quali potrebbe essere applicato il concetto di Paese terzo sicuro e allargare contemporaneamente “il bacino di Paesi terzi con cui collaborare nella sua applicazione”. Come si legge nella proposta di Bruxelles, “ciò ridurrebbe gli oneri amministrativi e aumenterebbe l’efficacia del trattamento delle domande di asilo“. I Paesi terzi con cui siglare intese dovrebbero soddisfare una serie di condizioni – quali la protezione contro il respingimento, l’assenza di un rischio reale di danni gravi e di minacce alla vita e alla libertà per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o opinioni politiche – e garantire ai richiedenti asilo la protezione, l’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione, alle prestazioni sociali. Gli Stati membri dovrebbero informare l’esecutivo Ue prima di concludere accordi, “per consentire alla Commissione di verificare che i criteri siano pienamente rispettati”.
Prevedendo una verosimile impennata di ricorsi contro trasferimenti forzati, Bruxelles ha messo sul tavolo un altro giro di vite. Ha suggerito cioè di eliminare l’effetto sospensivo automatico dei ricorsi, al fine di “contribuire a ridurre i ritardi procedurali nell’applicazione del concetto di Paesi terzi sicuri e prevenire potenziali abusi delle possibilità di ricorso da parte dei richiedenti”. Ma parallelamente, come fa notare l’eurodeputata del Partito Democratico Cecilia Strada, in questo modo “le persone migranti che fanno appello contro il diniego della loro richiesta d’asilo rischieranno di essere espulse prima ancora della decisione definitiva“.
La stessa Commissione europea, nel documento della proposta, ha ammesso le preoccupazioni espresse dall’Unhcr e dalle organizzazioni della società civile a riguardo. Queste ultime “si sono generalmente opposte alla revisione del concetto di Paese terzo sicuro“, mentre l’Alto commissariato Onu, “pur riconoscendo che il criterio del legame non è un requisito previsto dal diritto internazionale, ha ribadito le sue riserve sulla sua abolizione”. Allo stesso modo, la soppressione dell’effetto sospensivo automatico dei ricorsi “potrebbe aumentare in modo sostanziale il carico di lavoro dei tribunali d’appello e aumentare i rischi di detenzione durante i ricorsi“. Unhcr e organizzazioni internazionali hanno inoltre “messo in guardia sui potenziali rischi di respingimento”.
Ma l’esecutivo Ue ha tirato dritto, forte del supporto della maggior parte dei Paesi membri. La proposta sarà presentata al gruppo di lavoro sull’Asilo del Consiglio dell’Ue il prossimo 10 giugno, confermano fonti diplomatiche. Parallelamente, verrà esaminata dalla Commissione Libertà Civili (Libe) del Parlamento europeo. Mentre il Partito popolare europeo ha parlato di un “messaggio giusto” verso “la creazione di un sistema efficiente, gestibile ed equo”, i socialisti e democratici accusano “la Commissione europea, Ursula von der Leyen e Magnus Brunner” di “continuare a fare regali alle forze di destra fino all’estrema destra negli Stati membri e nel Parlamento europeo”.
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