L’UE punta su donne, immigrati e persone disabili per rispondere alla carenza di lavoratori

Bruxelles – Figure professionali mancanti e persone disponibili a lavorare che potrebbero rispondere a queste esigenze, ma che restano estranee al mercato del lavoro: la Commissione europea prova a spezzare un circolo vizioso. Si tratta di integrare nel mondo del lavoro le categorie definite come ‘gruppi sotto-rappresentati’, vale a dire donne, anziani, migranti e persone con disabilità. Tutti loro “sono fondamentali per affrontare la carenza di competenze e manodopera nell’UE“, scandisce Roxana Minzatu, commissaria per i Diritti sociali e le competenze.
La relazione 2025 della Commissione sull’occupazione e gli sviluppi sociali in Europa (ESDE) evidenzia che un quinto della popolazione in età lavorativa, circa 51 milioni di persone, è attualmente al di fuori del mercato del lavoro dell’UE. Di questa popolazione, più grande di quella di tutta la Spagna, donne, persone di età compresa tra 55 e 64 anni, migranti e persone con disabilità che ne costituiscono la stragrande maggioranza. Per questo facilitare l’accesso al mercato del lavoro contribuirebbe anche al raggiungimento dell’obiettivo di un tasso di occupazione del 78 per cento fissato dall’UE per il 2030. Allo stesso tempo, migliorerebbe la coesione sociale e sosterrebbe l’obiettivo di riduzione della povertà fissato dall’UE per il 2030.
Decisiva sarà però l’azione politica, di competenza nazionale. Tutto ciò che è lavoro e mercato del lavoro ricade tra le prerogative dei governi, a cui si rivolgono suggerimenti molto precisi. Nel caso dei circa 24,8 milioni di persone con disabilità in età lavorativa ma senza lavoro, “sistemi di quote, le misure antidiscriminatorie e l’inserimento lavorativo mirato sono strumenti efficaci per la loro integrazione”, rileva l’esecutivo comunitario.
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Ancora, si contano oltre sette milioni di migranti nell’UE attualmente esclusi dal mercato del lavoro per molteplici motivi, tra cui difficoltà linguistiche, mancato riconoscimento delle qualifiche, discriminazione e ostacoli amministrativi. Per l’esecutivo comunitario i migranti “apportano competenze essenziali che possono contribuire a colmare la carenza di manodopera in settori con esigenze urgenti”. Per cui si rende necessario intercettare questo potenziale non sfruttato. In tal senso “incentivi fiscali ben concepiti”, insieme al supporto alla ricerca di lavoro, alla formazione linguistica e a permessi di lavoro più semplici, soprattutto se combinati, possono aumentare la partecipazione dei migranti alla forza lavoro.
C’è anche la questione di genere, di lungo corso, ancora lontana dall’essere risolta. Ci sono ancora 32 milioni di donne fuori dal mercato del lavoro perché pagano la loro natura di madre. La relazione ESDE mostra che la partecipazione femminile al mercato del lavoro nell’UE rimane inferiore di 10 punti percentuali rispetto a quella maschile, principalmente a causa di responsabilità di cura non retribuite, disponibilità limitata di servizi di assistenza all’infanzia e disincentivi nei sistemi fiscali e previdenziali. L‘espansione dell’assistenza all’infanzia potrebbe aiutare in tal senso, aumentare il tasso di occupazione femminile in alcuni Stati membri fino al 30 per cento e incrementare il PIL dell’UE fino all’1,7 per cento.
“Dobbiamo fare di più per garantire che tutti possano contribuire con le proprie competenze e talenti”, insiste Minzatu, che esorta i governi nazionali ad adoperarsi in tal senso. Eliminando gli ostacoli, sfidando gli stereotipi e promuovendo la parità di genere, possiamo affrontare la carenza di manodopera, aumentare la nostra competitività e costruire una società più equa e inclusiva”.
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