La partita doppia della violenza politica: tra polarizzazione e verità negate
L’analisi di Gianvito Pipitone mostra come la violenza politica venga spesso giustificata o strumentalizzata, riflesso di una società polarizzata e divisa.

La partita doppia della violenza politica
Quando la violenza diventa opinione, il dibattito è già morto stecchito.
La violenza politica è tornata a infestare il discorso pubblico. È riemersa sotto forma di giustificazioni, complicità ideologiche e condanne a geometria variabile. E soprattutto, come sintomo di una malattia più profonda: la polarizzazione culturale, che ha reso impossibile distinguere il giusto dall’ingiusto se non attraverso la lente deformante dell’appartenenza.
La morte violenta di Charlie Kirk, predicatore trumpiano, è un fatto tragico e inaccettabile. Ma ciò che ha colpito non è solo l’omicidio in sé, quanto il modo in cui è stato metabolizzato. Da una parte, chi ha minimizzato, giustificato, persino ironizzato. Dall’altra, chi ha strumentalizzato, invocato vendetta, generalizzato. In mezzo, il vuoto di una riflessione onesta e trasversale, che dovrebbe invece lavorare con gli strumenti dell’onestà intellettuale.
Stupisce che anche voci autorevoli come quella di Marcello Veneziani abbiano ceduto alla logica binaria. Nel suo recente intervento, il giornalista denuncia con forza l’ipocrisia della sinistra nel giustificare l’omicidio di Kirk. Ma nel farlo, finisce per cadere nello stesso errore che condanna: quello di guardare da una sola parte, costruendo una narrazione che assolve un campo e condanna l’altro, senza riconoscere la simmetria del problema.
Simmetricamente, colpisce il tono scomposto di Piergiorgio Odifreddi, che in una recente apparizione televisiva ha affermato che “sparare a Martin Luther King e sparare a un esponente MAGA non è la stessa cosa”, aggiungendo che “chi semina vento raccoglie tempesta”. Parole gravi, per quanto parzialmente ritrattate, pronunciate mentre il corpo di Kirk era ancora in obitorio. Odifreddi non è nuovo a provocazioni di questo tipo, ma ciò non le rende meno irresponsabili. Sostenere, anche solo per via logica, che certe vittime “se la siano cercata” è una forma di giustificazionismo che tradisce ogni principio di umanità e di coerenza etica. È il riflesso di un intellettualismo che si crede superiore alla realtà, ma che finisce per legittimare uno stato di barbarie.
Oggi, la violenza si misura in base all’ideologia della vittima. E questo è il problema. Ad ognuno, la sua verità su misura.
Se vogliamo invece rimanere ai dati reali, i numeri parlano chiaro. Secondo il Global Project Against Hate and Extremism, nel 2024 gli episodi di violenza politica attribuiti a gruppi di estrema destra negli Stati Uniti sono aumentati del 22% rispetto all’anno precedente. Si tratta di attacchi mirati contro giornalisti, attivisti, minoranze etniche e religiose, spesso accompagnati da campagne di intimidazione online e offline. Un esempio emblematico è l’omicidio della politica democratica Melissa Hortman e di suo marito, uccisi in Minnesota nel giugno 2025 da un gruppo radicale di estrema destra. L’attacco ha scosso l’opinione pubblica americana e riacceso l’allarme sulla violenza ideologica. Anche in quel caso, alcuni ambienti hanno cercato di minimizzare l’accaduto, come se l’appartenenza politica potesse rendere meno grave l’eliminazione fisica.
Sull’onda del dibattito infuocato d’oltre oceano, anche in Italia il clima è tutt’altro che pacificato. Un dossier diffuso da Fratelli d’Italia in Parlamento ha raccolto 28 episodi di violenza politica contro esponenti del centrodestra dal 2022 a oggi: aggressioni a gazebo, scritte minatorie, minacce verbali e attacchi social. Il documento, intitolato “Chi soffia sul fuoco”, denuncia un’escalation di ostilità e invita tutte le forze politiche a condannare con fermezza ogni forma di violenza, indipendentemente da chi la subisce.
Ma il clima d’odio che si respira, in Italia come negli Stati Uniti, non nasce dal nulla. È il prodotto di una campagna stampa pessima, in cui il linguaggio - oltre che il contenuto - di certi giornali e TV che incitano all’odio, amplifica le tensioni, legittima le caricature dell’avversario. E spesso sono gli stessi politici ad alzare l’asticella: con battute infelici, risse verbali, slogan bellicosi e una retorica che predica la delegittimazione dell’altro come unica forma di consenso. Così, anche i dossier più solidi, in questo clima, sembrano volantini agitati per tenere il gregge nel recinto, trovate propagandistiche, mentre fuori si consuma il vero disastro. La violenza non si combatte con i dossier, ma con il coraggio di dire la verità anche quando non conviene.
Chi governa, chi scrive, chi commenta, ha il dovere di usare la stessa lente per tutte le violenze. Non si può invocare la pietà per Kirk e ignorare quella per Hortman. Non si può condannare l’odio di sinistra e tacere su quello di destra. Non si può continuare a confondere il tifo da stadio con la coscienza morale.
La verità non sta da una parte sola. Ma se continuiamo a cercarla solo dove ci conviene, non sarà la verità a sparire. Saremo noi a non riconoscerla più.
Gianvito Pipitone , Catania 15 settembre 2025
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