Pronti Francia e altri quattro Paesi Ue, gli Stati che riconoscono la Palestina ora sono quasi 160

Bruxelles – Nella giornata di ieri (21 settembre) Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo hanno formalmente riconosciuto lo Stato di Palestina. Oggi è atteso lo stesso annuncio da parte di altri 6 Paesi, in occasione della conferenza che si terrà a New York, per restituire vigore ad una soluzione a due Stati ormai sepolta sotto le macerie di Gaza. A fine giornata, dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite, ben 157 riconosceranno il diritto dei palestinesi di esistere come entità geografica e politica.
Regno Unito e Canada sono i primi Paesi del G7 a farlo. Insieme al Portogallo, sono pronti a dare seguito alla Dichiarazione adottata dall’Assemblea generale dell’Onu pochi giorni fa altri 4 Stati membri dell’Unione europea: Francia, Belgio, Lussemburgo e Malta. Lo stesso faranno Lichtenstein e Nuova Zelanda. A livello Ue cambiano gli equilibri, proprio ora che gli Stati membri dovranno discutere le sanzioni a Israele proposte dalla Commissione europea: fino ad oggi, erano solo 12 Paesi su 27 a riconoscere la Palestina. Da domani, potrebbero essere 17. All’appello mancano ancora Germania e Italia.
La parentesi scelta da questi 10 governi è significativa: oltre alla conferenza organizzata dal presidente francese Emmanuel Macron e dall’Arabia Saudita, al Palazzo di vetro parleranno il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas. Il primo in presenza – nonostante un mandato di cattura emesso dalla Corte Penale Internazionale -, il secondo in videomessaggio: gli Stati Uniti gli hanno infatti negato il visto per entrare nel Paese.
Il premier israeliano ha ribadito che “non accadrà, non si realizzerà, non verrà istituito uno Stato palestinese a ovest del fiume Giordano”, e ha accusato “quei leader che riconoscono uno Stato palestinese dopo l’orribile massacro del 7 ottobre” di offrire “un’enorme ricompensa al terrorismo”. Washington, che continua a garantire supporto incondizionato a Tel Aviv, ha bollato come meramente “performativa” la mossa dei 10 governi occidentali.
Una mossa con un alto valore politico, ma che concretamente – nella prospettiva cioè della creazione di uno Stato sovrano palestinese – rischia di non sortire alcun effetto. Lo stesso Netanyahu ha rivendicato che sotto la sua leadership Israele “ha raddoppiato gli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria e continueremo su questa strada”. Giudea e Samaria sono i nomi con cui Israele indica i territori palestinesi occupati della Cisgiordania. Il riconoscimento dello Stato palestinese non allevierà, quanto meno nel breve periodo, nemmeno le sofferenze della popolazione di Gaza: nel bel mezzo di questo sforzo diplomatico, nelle ultime 24 ore, 61 persone sarebbero rimaste uccise e 220 ferite nei bombardamenti israeliani sulla Striscia.
D’altra parte, di fronte al genocidio in corso a Gaza e ai continui tentativi del governo israeliano di rendere impossibile nella pratica l’attuazione della soluzione dei due Stati sostenuta dalla comunità internazionale – per ultimo il piano per nuovi insediamenti nel corridoio E1, che dividerebbero il territorio palestinese in due isolando Gerusalemme Est -, si tratta di una mossa già troppe volte rimandata e dovuta.
“Il riconoscimento dello Stato palestinese è la realizzazione di una linea fondamentale, costante e basilare della politica estera portoghese”, ha affermato Paulo Rangel, ministro degli Affari esteri di Lisbona. Per il primo ministro australiano, Anthony Albanese, Canberra riconosce così “le aspirazioni legittime e di lunga data del popolo palestinese ad avere uno Stato proprio”. Il premier britannico, Keir Starmer, ha dichiarato: “Di fronte ai crescenti orrori in Medio Oriente, stiamo agendo per mantenere viva la possibilità di pace e di una soluzione a due Stati. Ciò significa un Israele sicuro e protetto, insieme a uno Stato palestinese vitale. Al momento non abbiamo né l’uno né l’altro”.
In sostanza, la conseguenza più diretta del riconoscimento di uno Stato come tale è lo scambio di rappresentanze diplomatiche, ovvero l’apertura di ambasciate e consolati e l’invio di personale diplomatico. In linea teorica, uno Stato dovrebbe rispettare quattro criteri minimi: avere una popolazione permanente, un territorio definito, un governo e la capacità di intrattenere relazioni con gli altri Stati. Non esattamente la situazione attuale della Palestina, il cui territorio riconosciuto a livello internazionale – con i confini che risalgono al 1967 – è in larga parte sotto occupazione israeliana, ed il cui governo – l’Autorità nazionale palestinese – controlla solo una parte di esso.
Lo stesso Macron ha posto alcune condizioni all’effettivo riconoscimento: lo scambio di rappresentanze diplomatiche, ad esempio, si farà solo una volta che tutti gli ostaggi israeliani saranno stati restituiti da Hamas. Quest’ultima “non può avere alcuna forma di controllo a Gaza o al di fuori di essa”, ha messo in chiaro il ministro degli Esteri portoghese Rangel. Nel progetto di Parigi, sposato anche da Riyad, il riconoscimento dell’entità statale è inserito in un processo più ampio, che include un’Autorità Palestinese riformata ed eletta democraticamente, in grado di sostituire Hamas nell’amministrazione della Striscia di Gaza.
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