Nell’inerzia del mondo (e dell’Ue), Israele sta smantellando la Palestina

Agosto 21, 2025 - 15:00
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Nell’inerzia del mondo (e dell’Ue), Israele sta smantellando la Palestina

Bruxelles – L’Europa e il mondo restano a guardare mentre Israele seppellisce definitivamente ogni prospettiva per la costruzione di uno Stato palestinese. E probabilmente, allo stesso tempo, anche la possibilità di una ricomposizione politica della decennale crisi mediorientale. Dopo aver approvato il controverso piano per la creazione dell’insediamento E1, che spezza la Cisgiordania in due, il gabinetto di Benjamin Netanyahu ha avviato stanotte un’offensiva terrestre su Gaza City.

Approfittando della disattenzione dei partner occidentali, febbrilmente indaffarati a preparare il terreno per una potenziale soluzione negoziata della guerra in Ucraina, Tel Aviv sta premendo sull’acceleratore per distruggere completamente quel poco che resta della Palestina, conducendo in contemporanea due azioni diverse ma complementari tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania occupata.

Dopo giorni di intensi bombardamenti, nella notte tra il 20 e il 21 agosto sono iniziate le operazioni di terra dell’esercito israeliano (Idf) per la conquista definitiva di Gaza City, la capitale dell’exclave costiera ormai rasa quasi completamente al suolo dalla violentissima campagna militare avviata nell’ottobre 2023 in risposta agli attacchi dei miliziani di Hamas. La situazione umanitaria nell’area è gravissima, come denunciano quotidianamente le Nazioni Unite, le ong e associazioni internazionali e locali e gli stessi alleati dello Stato ebraico, e il numero dei morti ha superato le 62mile unità.

Gaza City
La distruzione a Gaza City (foto: Omar Al-Qattaa/Afp)

Ma il primo ministro Benjamin Netanyahu (ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità) tira dritto e procede coi suoi piani di rioccupare permanentemente la Striscia, dalla quale Israele si era ritirato nel 2005. Per portarli a termine, il suo gabinetto ha richiamato 60mila riservisti da impiegare in prima linea nelle prossime settimane. Diverse ong israeliane parlano ormai apertamente delle operazioni a Gaza bollandole come genocidio del popolo palestinese, condotto sia con mezzi militari sia tramite la strumentalizzazione della fame.

Diventa peraltro sempre più difficile per il mondo esterno sapere cosa accade nella Striscia, dato che le Idf continuano a massacrare indiscriminatamente i giornalisti (oltre 240 in 22 mesi, secondo i dati dell’Onu), sospettati di connivenza con Hamas. Mentre il gruppo palestinese e il governo di Tel Aviv si stanno scambiando accuse reciproche di sabotaggio dei negoziati per una tregua, i cittadini israeliani riempiono le piazze per chiedere la fine delle ostilità e il rilascio degli ostaggi (una cinquantina, di cui una ventina ancora in vita) in una serie di mobilitazioni tra le più grandi nella storia del Paese.

Parallelamente, la situazione sta precipitando anche in Cisgiordania, dove il dominio della potenza occupante ha da tempo assunto i connotati di un vero e proprio sistema di apartheid (come denunciato, ancora una volta, dalle ong israeliane). Qui da molti mesi si assiste ad una recrudescenza delle violenze dei coloni (spalleggiati dall’Idf) che fa il paio con le continue demolizioni di abitazioni e infrastrutture palestinesi.

Giusto ieri, il governo israeliano ha dato il via libera definitivo al controverso progetto di espansione degli insediamenti nella cosiddetta area E1 (acronimo di East 1), tramite cui verrà costruito un nuovo corridoio tra la Gerusalemme Est occupata e la colonia già esistente di Maale Adumim. Con questa mossa – nel cassetto di Tel Aviv già dagli anni Novanta, ma mai attuata per l’opposizione degli alleati occidentali, inclusi gli Usa – verrà de facto tagliata in due la Cisgiordania, uno dei nuclei di un ipotetico Stato di Palestina, interrompendo la continuità territoriale tra Ramallah a nord (sede dell’Autorità nazionale palestinese) e Betlemme a sud.

Bezalel Smotrich
Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich descrive il progetto E1 con l’ausilio di una mappa (foto: Menahem Kahana/Afp)

“Lo Stato palestinese viene cancellato dal tavolo delle trattative non con slogan, ma con azioni concrete“, ha proclamato trionfalmente il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, uno degli uomini di punta dell’estrema destra messianica dalla quale dipende la sopravvivenza del sesto governo Netanyahu. “Ogni insediamento, ogni quartiere, ogni unità abitativa è un altro chiodo nella bara di questa idea pericolosa“, ha aggiunto.

Lo stesso premier, visitando un insediamento della Cisgiordania fondato un quarto di secolo fa, ha rivendicato orgogliosamente la linea dell’esecutivo: “Venticinque anni fa ho detto che avremmo fatto di tutto per garantire il nostro controllo sulla Terra di Israele, per impedire la creazione di uno Stato palestinese, per impedire i tentativi di sradicarci da qui. Grazie a Dio, abbiamo mantenuto la promessa”.

Queste azioni configurano violazioni eclatanti del diritto internazionale e, come confermato da dichiarazioni di simile tenore, stanno venendo perpetrate con l’esplicito intento di mettere una pietra tombale su ogni velleità di costruire uno Stato palestinese. Sempre Smotrich ha sottolineato che si tratta anche di una risposta all’intenzione di diversi Paesi occidentali di riconoscere la Palestina il mese prossimo e sancendo formalmente una realtà che era già sotto gli occhi di tutti da molti anni.

Anche se le cancellerie mondiali faticano ad ammetterlo, la “soluzione a due Stati” è ormai diventata una formula priva di qualunque significato reale, dato che nessuno dei governi succedutisi a Tel Aviv negli ultimi trent’anni ha mai compiuto passi concreti per realizzare quanto pattuito col processo di Oslo ed avvicinare la formazione di uno Stato di Palestina autonomo e indipendente che vivesse “in pace e sicurezza” accanto a Israele.

demolizioni Cisgiordania Palestina
Demolizioni israeliane supervisionate dall’Idf a Judeira, nella Cisgiordania occupata (foto: Zain Jaafar/Afp)

Da Bruxelles, tuttavia, giungono solo i soliti commenti retorici, ritriti e stucchevoli. I portavoce della Commissione continuano a rimandare i giornalisti ai post su X di Ursula von der Leyen e Kaja Kallas, ripetendo che “la diplomazia è lo strumento principale“. Ma a questo punto, espressioni come “situazione umanitaria spaventosa” e “protezione della popolazione civile” suonano quasi grottesche se affiancate alle immagini che arrivano dal terreno.

“L’Ue rifiuta qualsiasi tentativo di modifica territoriale e demografica nella Striscia di Gaza“, ha ribadito per l’ennesima volta Anitta Hipper, portavoce dell’Alta rappresentante, evidenziando al contempo che il piano sull’E1 “mina la soluzione a due Stati e viola il diritto internazionale”. Peccato che all’orizzonte, in termini di azioni concrete ci sia poco o nulla, e i Ventisette non sono nemmeno in grado di mettersi d’accordo su una sospensione parziale dei fondi Horizon+ destinati a Israele nel bilancio 2028-2034.

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Redazione Italia24 News