“Dazi al 35 per cento se l’Ue non rispetta gli impegni”: I nuovi ricatti di Trump alla piccola Europa che si lascia bullizzare

Bruxelles – Dazi al 35 per cento, anziché al 15 per cento, se l’Ue non tiene fede agli impegni di investire 600 miliardi di dollari negli Usa. Parola e ricatto del presidente statunitense Donald Trump, ancora lui, sempre lui. E’ bastato, molto poco, nove giorni appena, per capire quanto il partner statunitense sia inaffidabile (a questo punto davvero può considerarsi partner?) e pronto a bullizzare ancora l’Europa. E’ bastato altrettanto poco per rendersi conto quanto l’Ue sia debole e anche sciocca, nel piegarsi a un prepotente che, per definizione e in quanto tale, nel remissivo vedrà terreno fertile per nuovi atti di intimidazione.
Le tensioni commerciali euro-atlantiche finiscono con l’offrire la sintesi dell’Europa di oggi: confusa, divisa, remissiva, debole. Sub-alterna davanti alle grandi potenze, o comunque agli attori internazionali influenti, e autorevole – a tratti anche autoritaria – con chi invece sullo scacchiere internazionale conta un po’ meno. Un esempio su tutti la voce grossa sulla Bosna-Erzegovina. Ancora, Ue ‘lupo’ con il Kirghizistan, e poi agnellino con Israele e gli Usa, appunto.
Un accordo, due versioni, molti dubbi: l’intesa Ue-Usa sui dazi è più caos che altro
Un’Ue piccola piccola in cui Ursula von der Leyen ricopre il ruolo più congeniale ad un’Europa ancora fortemente confederata, dove gli Stati preferiscono pensare a sé e non in grande (e, in fin dei conti, von der Leyen è sempre stata lì per questo, per non infastidire le capitali). La situazione venutasi a creare è perfetta per chi vuole delegittimare il progetto europeo, dare la colpa di ciò che non funziona all’Europa e spacciare per propri i meriti derivanti dall’Unione.
Così ecco che la Germania attacca la Commissione europea, accusandola di aver prodotto un accordo insoddisfacente, e aver mostrato “debolezza”. Così almeno ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Lars Klingbeil, in occasione della sua visita a Washington, la prima da quando ha preso funzioni, e durante la quale si è per un attimo sostituito all’esecutivo comunitario iniziando a intavolare trattative per eliminare dazi sull’acciaio.
Lo strappo tedesco produce frizioni con Bruxelles. “Siamo sorpresi di ascoltare queste dichiarazioni”, la replica di Olof Gill, portavoce dell’esecutivo comunitario per il commercio. Che affonda a sua volta: “C’era un’ampia maggioranza di Stati membri che ha chiesto di evitare un guerra commerciale e negoziare, e questo accordo è ciò che è stato richiesto“.
Ha ragione il ministro delle Finanze tedesco: l’intesa del 27 luglio è un pastrocchio. E’ un accordo confuso, da definire meglio e negoziare ancora. Ma è l’accordo richiesto. Ha torto, però, ‘herr Klingbeil’, a picconare l’Europa e rimetterla in discussione. L’Ue avrebbe bisogno del sostegno politico di quelle forze tradizionalmente pro-europee come l’Spd di cui il ministro è espressione. Se si tenta di rispondere all’euroscetticismo giocando lo stesso gioco degli anti-europei si finisce coll’affossare del tutto il progetto di integrazione. Integrazione smarrita e messa a dura prova da un’intesa sui dazi che all’Ue inizia a costare caro.
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