Serbia, Vučić tenta la carta del dialogo coi manifestanti: “Discutiamo insieme”

Bruxelles – Aleksandar Vučić, l’autoritario presidente della Serbia al potere dal 2014, tenta l’azzardo per provare ad ammorbidire il movimento di protesta che sta scuotendo da mesi il Paese balcanico, che manifesta contro la corruzione e lo scivolamento verso l’orbita di Mosca. Ma la sua offerta di dialogo non sembra convincere studenti e opposizioni, che vogliono le dimissioni dell’uomo forte di Belgrado.
Con una mossa piuttosto inaspettata, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha teso la mano ai manifestanti che da oltre nove mesi riempiono le piazze del Paese balcanico per chiedere la fine della corruzione dilagante e un generale ricambio della classe politica. Incluso il capo dello Stato: “Arrestate Vučić” è uno dei cartelli che capita di leggere alle proteste, scoppiate lo scorso novembre in seguito al crollo di una pensilina a Novi Sad, nel quale sono morte 16 persone.
Così, in un discorso alla nazione trasmesso in tv oggi (22 agosto), il presidente ha azzardato la sua proposta, offrendosi di intrattenere “discussioni e dibattiti su tutte le nostre televisioni, su tutti i nostri siti, coi rappresentanti legittimi” del movimento di protesta. Vučić si dice intenzionato ad “affrontare le diverse visioni” allo scopo di “risolvere la questione attraverso il dialogo e il confronto” e con l’obiettivo ultimo di “ricostruire il Paese, per riportarlo alla situazione in cui si trovava nove mesi fa”.
Fino ad oggi, l’autoritario leader sembrava avviato irrevocabilmente sulla strada della repressione, delegata a forze dell’ordine autorizzate a ricorrere anche a dispositivi illegali come i cannoni sonici per disperdere i contestatori. Negli ultimi giorni, la tensione era salita pericolosamente con scontri anche violenti tra manifestanti e fazioni filogovernative, conditi da assalti ad alcune sedi dei partiti che compongono l’esecutivo e diffusi abusi di potere commessi dagli apparati di sicurezza.
Ma i critici di Vučić – sia in piazza sia in Parlamento – non sembrano disposti a bersi la storia del suo improvviso ravvedimento. “Un presidente che ricorre alla violenza non è qualcuno con cui si può discutere di questioni politiche, questo è un governo corrotto che calpesta la democrazia e i diritti umani“, il commento caustico di Savo Manojlović, leader del partito centrista Kreni-Promeni.
Opposizioni e studenti chiedono a Vučić di dimostrare la sua buona fede facendosi da parte e convocando al più presto elezioni presidenziali anticipate, prima del 2027 quando scadrà il suo secondo mandato (e anche l’ultimo, a rigor di Costituzione). Il capo dello Stato “non ha una risposta alla ribellione popolare“, si legge in una nota degli studenti dell’Università di Belgrado, in cui accettano di discutere ma solo “durante la campagna elettorale“.
Finora, l’unico risultato concreto a cui hanno portato le oceaniche proteste popolari – probabilmente le più ampie nella storia del Paese balcanico da quando è implosa la Jugoslavia – è rappresentato dalle dimissioni dell’ex primo ministro Miloš Vučević, rassegnate a fine gennaio nel tentativo, egregiamente fallito, di placare i manifestanti.
Da anni, l’uomo forte di Belgrado pone un dilemma geopolitico di non poco conto all’Ue. La Serbia è ufficialmente un Paese candidato all’adesione al club a dodici stelle ma, oltre alla repressione delle proteste e alle violazioni di massa dei diritti fondamentali, a provocare forti grattacapo a Bruxelles c’è anche l’imbarazzante vicinanza di Vučić a Vladimir Putin.
Incurante degli ammonimenti dell’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas, il presidente serbo si è recato a Mosca lo scorso 9 maggio per celebrare l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista, in tribuna d’onore sulla Piazza Rossa insieme allo zar e al premier slovacco Robert Fico, uno dei due enfant terrible dell’Unione. Con l’altro, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, Vučić sta lavorando per prolungare l’oleodotto Druzhba e far arrivare fino in Serbia il greggio della Federazione, acuendo ulteriormente la frizione diplomatica tra Budapest e Kiev.
Allo stesso tempo, tuttavia, Vučić si mostra ambivalente nei confronti dell’Ucraina. A giugno si è presentato a sorpresa a Odessa, dove ha partecipato ad una riunione convocata da Volodymyr Zelensky in persona, e da qualche tempo Mosca sta accusando Belgrado di aver tradito la tradizionale amicizia tra i due Paesi vendendo armi a Kiev.
Le alte sfere di Bruxelles hanno sempre sostenuto di stare dalla parte degli studenti, ma nelle loro più recenti visite nella capitale serba tanto Kallas quanto António Costa, presidente del Consiglio europeo, sono stati piuttosto morbidi nel mettere Vučić di fronte alle proprie responsabilità. Per una curiosa coincidenza, del resto, la Commissione europea ha incluso la Serbia tra gli 11 Paesi terzi in cui finanzierà progetti per l’approvvigionamento delle materie prime critiche, essenziali per mantenere la competitività del Vecchio continente nel XXI secolo.
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