Non c’è niente niente di buono da aspettarsi dal vertice in Alaska

Dal vertice di ferragosto in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin non c’è da aspettarsi niente di buono per l’Ucraina, l’Europa, o uno stop all’invasione di Gaza.
Questo primo incontro (in questo secondo mandato dello statunitense) tra i due presidenti di Usa e Russia segue mesi di telefonate, dichiarazioni e decisioni che sono andate in un solo senso: Washington non intende disturbare Mosca nella sua guerra di invasione, ed anzi, per quanto possibile indebolisce la possibilità ucraina di difendersi, centellinando gli aiuti, facendo pagare a caro prezzo gli armamenti che accetta di inviare (che, tra l’altro, secondo notizie recenti tendono anche ad essere vecchi e un po’ scassati).
Da Trump non è mai arrivato un gesto che potesse far pensare che vuol fermare Putin. Non ha mai parlato dei territori occupati come di una parte dell’Ucraina, non ha mai deciso una sanzione, ha fatto anzi il possibile per mettere in difficoltà il presidente Volodymyr Zelensky. Qualche volta ha urlato che le sanzioni potrebbe metterle, ha ammonito Putin che sta esagerando, ma nulla di concreto ha fatto per avviare un processo di pace che preveda la condizione minima sulla quale insistono anche gli europei: che Zelensky partecipi al tavolo delle trattative di pace.
D’altra parte persone vicine a Putin spiegano ai giornali di mezzo mondo che l’Ucraina non è l’unico tema sul tavolo dei due leader. Ci sarà anche il commercio (da Trump nessun dazio è stato imposto alla Russia), la sicurezza nucleare, l’approvigionamento energetico, i rapporti con la Cina… C’è molto altro sul tavolo, che Putin vuole apparecchiare come quello tra due potenze decidono, loro, le sorti del Mondo. Probabilmente l’Ucraina non è neanche tra i temi che i due intendono affrontare prioritariamente.
C’è poi un Putin grande negoziatore, che vuole disarmare l’Ucraina, che ha un’idea e quella mantiene, che è circondato da diplomatici di grandissima solidità ed esperienza. Dall’altra parte del tavolo ci sarà un presidente Usa umorale, che cambia posizioni in continuazione e che tendenzialmente è molto vicino a Mosca, che non intende disturbare l’Orso e che con questo condivide alcuni interessi, come quello di indebolire l’Unione europea.
Un’Unione che, rispetto alla ricerca di pace in Ucraina ribadisce concetti in realtà ovvi (ma non inutili!), che sono proprio le basi minime di un negoziato: che Kiev partecipi al tavolo delle trattative che riguardano il suo futuro e che l’annessione russa di ampie parti del territorio ucraino è illegale. Punti indiscutibili in un quadro di relazioni internazionali “normali”, che non lo sono però più quando l’unico elemento messo sul tavolo è la prepotenza della forza, militare o commerciale.
Un’Unione che non è davvero solida e unita nelle sue posizioni, né quelle sull’Ucraina, né quelle suo commercio (leggi dazi). Sarà difficile, in queste condizioni, mettere anche uno zampino nella stanza in Alaska, che vada oltre l’insistere con Trump che l’Ucraina è non solo un Paese che ha il diritto di difendersi, ma che è anche un territorio che segna una linea difensiva dei tutta l’Europa occidentale. Il rischio è di essere sempre più in balia di due potenze, che non sono amiche dell’Ue, ma che forse sono più amiche tra loro di quanto si veda da fuori.
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